L’emergenza sanitaria ha acuito la crisi del distretto calzaturiero marchigiano. I danni sono ingenti e il Covid-19 rappresenta una nuova sfida
Il Coronavirus non è soltanto un’emergenza sanitaria globale, ma anche economica. La regione Marche è stata duramente colpita sia per il numero dei contagiati e dei morti, sia per gli effetti negativi su settori chiave quali il turismo, la ristorazione e la manifattura. In particolare, il virus ha acuito drammaticamente la crisi del settore calzaturiero marchigiano. I danni sono ingenti. Secondo Giuseppe Mazzarella, presidente di Confartigianato Imprese Marche e membro del Cda di Ice Agenzia, il calo di fatturato della calzatura marchigiana, cuore del comparto italiano che assorbe il 32,4% delle aziende del settore e il 25,4% della forza lavoro, si aggirerà tra il 35% e l’80% nel 2020. Per un settore già alle prese con una congiuntura complessa, il Covid-19 rappresenta una nuova sfida.
La pandemia ha fermato l’intero sistema-moda
I negozi chiusi, le calzature e l’abbigliamento fermi nei magazzini delle aziende o nei depositi degli spedizionieri, gli ordini annullati, il posticipo dei pagamenti, l’impossibilità dei buyer stranieri di raggiungere l’Italia e viceversa per i venditori italiani, la cancellazione degli eventi fieristici hanno fermato il sistema-moda su scala globale. La pandemia si è scatenata in un momento dell’anno cruciale per il settore, dopo la fashion week milanese di fine di febbraio. Secondo l’analisi di Pambianco sulla variazione dei titoli delle aziende della moda e del lusso nel periodo 21 febbraio-3 aprile 2020, dal luxury al fast fashion non si è salvato nessuno. Nel giro di poche settimane, l’Europa ha visto sfumare quasi 200 miliardi di euro di capitalizzazioni (pari al 37% del valore di partenza), l’America 84 e l’Asia 24. Anche The Business of Fashion ha reso noto il suo quinto report “The State of Fashion”, dedicato agli effetti del Covid-19 sull’industria della moda attraverso un sondaggio che ha coinvolto oltre 1.400 professionisti e 6.000 consumatori. Per un settore che genera un valore globale di circa 2,5 trilioni di dollari le cifre sono spaventose. Nel 2020 si stima una contrazione del 27-30%, e per i beni di lusso del 35-39%. In Europa e Stati Uniti oltre il 65% dei consumatori prevede di ridurre la spesa per l’abbigliamento. La tendenza delle case di moda sembra essere quella di una diminuzione della gamma dei prodotti offerta.
Il calzaturiero resta un pilastro dell’economia nazionale, nonostante la crisi
Questa crisi si somma al trend negativo registrato dal distretto calzaturiero marchigiano, e in generale nazionale, negli ultimi anni. Il settore è stato e continua a essere uno dei pilastri dell’industria italiana, e ha permesso di esportare con successo la manifattura nazionale all’estero. Secondo i dati del World Footwear Yearbook 2018, l’Italia è il primo produttore europeo di scarpe; a livello mondiale è il decimo paese per numero di paia prodotte e il terzo esportatore dopo Cina e Vietnam. La produzione di calzature rappresenta il 15,1% dell’export totale del comparto Tessile, Moda e Accessorio italiano, per un valore di circa 90 miliardi di euro. Tuttavia negli ultimi 15 anni il settore ha conosciuto un significativo ridimensionamento in termini di addetti, aziende e volumi produttivi. Nel 2018-2019 il settore calzaturiero nazionale ha registrato un andamento incerto. Secondo Assocalzaturifici il 2018 si è chiuso con un calo della produzione nazionale (-3,3%), dell’export (-3,7%) – da sempre traino del settore perché l’85% di quanto prodotto dai calzaturieri italiani è destinato a clientela estera – del numero di imprese attive (-203 calzaturifici tra industria e artigianato rispetto al 2017, pari al -4,3%) e degli occupati (-920 unità, pari al -1,2%). La produzione Made in Italy si è attestata sui 184,3 milioni di paia (oltre 6,3 milioni in meno rispetto al 2017), anche se è stato rilevato un timido recupero dopo un triennio di arretramenti, con un valore vicino ai 7,9 miliardi di euro (+0,8%). Nonostante la situazione sia piuttosto disomogenea tra imprese e aree produttive, le indicazioni negative prevalgono: il 55% del campione ha infatti denunciato a consuntivo 2018 una contrazione dei livelli produttivi. Rispetto a dicembre 2018, il primo semestre del 2019 ha chiuso con un saldo negativo di -119 calzaturifici (tra industria e artigianato), pari al -2,6%, e -492 addetti (-0,7%), mentre nel settore della componentistica si registrano -75 aziende e -493 occupati, per un totale di -194 imprese e -985 addetti.
Le Marche hanno registrato i saldi negativi più marcati
A livello geografico le Marche hanno conosciuto i saldi negativi più marcati, sia per quanto riguarda le unità produttive (-95) sia gli addetti (-1.164). Dagli anni Novanta le dinamiche di globalizzazione sempre più accentuate, con l’ingresso degli emergenti mercati asiatici, e la crisi economica e finanziaria del 2008, che ha provocato anche una significativa flessione della domanda interna, hanno fortemente danneggiato la capacità competitiva dei distretti industriali nazionali, e di quello fermano-maceratese in particolare, che nel 2018 è stato dichiarato dal Ministero dello Sviluppo Economico (Mise) area di crisi complessa. Solo nel 2019 il fermano ha perso 179 imprese e nel maceratese hanno chiuso 278 aziende, di cui 41 nel comparto calzaturiero.
Alla ricerca di nuove strategie per il futuro del settore
Lo studio Eurispes “Strategie di difesa attiva del Made in Italy calzaturiero”, curato da Alberto Mattiacci, docente di economia d’impresa a La Sapienza di Roma, e pubblicato alla fine del 2019, ha esaminato il settore calzaturiero italiano, il valore del Made in Italy e le conseguenze della crisi economica dell’ultimo quindicennio, focalizzandosi in particolare sul distretto calzaturiero fermano-maceratese, allo scopo di analizzare lo scenario, le traiettorie di opportunità e di enucleare i punti di forza e di debolezza della base produttiva locale. Se il panorama è drammatico, l’industria del calzaturiero può reagire attraverso nuove strategie che coinvolgano tutta la catena produttiva. L’aggravarsi della crisi sofferta dal calzaturiero marchigiano a seguito del Coronavirus necessita un maggiore impegno economico e politico da parte delle istituzioni nazionali, come chiede Assocalzaturifici. In questa direzione una buona notizia è la firma a metà maggio dell’Accordo di programma per l’area di crisi industriale complessa del distretto fermano-maceratese da parte del Mise, del Ministero delle infrastrutture, dall’Anpal (Agenzia per il lavoro), della regione Marche e delle province interessate (Fermo, Macerate e Ascoli Piceno), che prevede uno stanziamento di 30 milioni e fissa gli obiettivi del Piano di riconversione e riqualificazione industriale (PRRI).
Le direttrici del cambiamento
La pandemia pone l’intero settore di fronte alla necessità di un cambiamento concreto secondo quelle direttrici che appaiono determinanti nel modo di fare impresa oggi: la formazione di nuove competenze e figure professionali, un maggiore sforzo verso attività di ricerca e sviluppo, l’investimento nell’industria 4.0 e la conseguente digitalizzazione delle aziende, il potenziamento di partnership che interessino i diversi operatori del settore. Prima e durante l’emergenza Covid-19 qualcosa è stato già fatto. Dal progetto Shoes Valley per rilanciare il distretto marchigiano con l’obiettivo di valorizzare da un punto di vista geografico, storico-culturale, turistico ed economico il patrimonio della filiera della calzatura regionale, al laboratorio “The School of shoes” organizzato dall’istituto Ipsia “Corridoni” di Civitanova Marche, fino alla più recente iniziativa di Assocalzaturifici, presa durante il lockdown, DB Proppy, una nuova piattaforma B2B per il settore calzaturiero.