Se il lockdown mondiale della scorsa primavera e le nuove chiusure stabilite dai governi nazionali hanno fortemente danneggiato l’intero settore moda, la pandemia di Covid-19 ha accelerato alcuni trend. Digitalizzazione e sostenibilità sono diventate le parole chiave del cambiamento post-pandemia e dell’evoluzione del comparto nel prossimo futuro.
Il fashion è sempre più digital
I negozi chiusi, le fiere di settore rimandate a data da destinarsi e le problematiche legate all’organizzazione della stagione delle sfilate, all’inizio del 2020, hanno fatto della digitalizzazione un driver fondamentale del business della moda.
Le vendite on-line sono quasi raddoppiate durante la pandemia, passando dal 16% al 29% a livello globale. Le modalità di fare shopping infatti sono cambiate, così come i fattori che motivano l’acquisto. Anche se il negozio fisico non scomparirà, i servizi di retail dovranno evolversi in direzione delle nuove abitudini e dei nuovi stili di vita dei consumatori dopo l’epidemia di Covid-19, attraverso un potenziamento dei touch point e dell’esperienza di acquisto.
Allo stesso modo, anche le modalità di presentazione del prodotto dovranno cambiare a tutto vantaggio del digitale. Fiere, showroom e sfilate saranno sempre meno in presenza e sempre più virtuali per permettere al settore moda di continuare a lavorare anche in condizioni di limitazione di circolazione delle persone.
Inoltre la digitalizzazione può favorire nuove soluzioni logistiche come la blockchain per tracciare i prodotti, facilitare la ricezione degli ordini e lo smistamento delle consegne, semplificare la gestione dell’inventario, stimolare nuovi metodi di acquisizione dei clienti.
Ambiente e moda: un connubio ormai indissolubile
Insieme alla transizione digitale, secondo The State of Fashion 2021 l’attenzione dei confronti delle tematiche ambientali è in cima all’agenda del fashion system. Anche perché il settore ha una grande responsabilità nei confronti del pianeta. La ricerca realizzata da McKinsey Fashion on Climate mostra che nel 2018 l’industria della moda è stata responsabile di circa 2,1 tonnellate di emissioni di gas serra, circa il 4% del totale globale, quanto le economie di Francia, Germania e Regno Unito messe insieme.
Secondo Cirillo Coffen Marcolin, presidente di Confindustria Moda, “la tematica della sostenibilità a 360° farà la differenza per fortificare il settore moda nei prossimi anni”. Anche l’Ad di Pitti Immagine Raffaello Napoleone sostiene che, parallelamente alla digitalizzazione, “la sostenibilità è un’opportunità per far ripartire la moda, un settore dinamico che ha sempre reagito alle crisi meglio degli altri”.
La sostenibilità delle produzioni è da qualche anno al centro della responsabilità sociale dei maggiori brand della moda internazionale. The Business of Fashion ha pubblicato nel marzo 2021 il report The Sustainability Gap, un indice di sostenibilità che mira a creare un benchmark trasparente e affidabile per monitorare chiaramente i progressi del settore verso il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità nel settore della moda.
Molte aziende del fast e del luxury fashion hanno infatti attuato negli ultimi tempi ingenti investimenti in ricerca e sviluppo di nuovi materiali e nel loro riciclo, ad esempio attraverso iniziative di upcycling. Il gruppo francese Kering, che possiede maison quali Balengiaca, Yves Saint Laurent, Gucci e Bottega Veneta, è il punto di riferimento per la sostenibilità nel mondo del lusso. Lvmh, di cui fanno parte tra gli altri Dior, Louis Vuitton e Fendi, ha promosso il progetto LIFE (Lvmh Initiative for Environment) con l’obiettivo di migliorare le sue prestazioni ambientali e ridurre le emissioni. Marchi italiani come Ferragamo, Valentino, Armani e Prada hanno attuato politiche di riduzione del loro impatto ambientale, attraverso l’uso di materiali sostenibili e riciclati, l’eliminazione di sostanze chimiche dalla loro filiera, il sostegno a campagne cruelty free. Ma tutto ciò da solo non basta, anche se è un bel passo avanti. E’ importante che ci siamo anche cambiamenti nella catena del valore dei brand, ad esempio attraverso interventi di efficientamento energetico e di transizione verso energie rinnovabili, per generare benefici sociali e ambientali a lungo termine.
A guidare questo cambiamento è anche la crescita di una nuova generazione di consumatori che chiede alle imprese maggiore impegno nei confronti dell’ambiente. Sono soprattutto le giovani generazioni, come documenta il rapporto The State of Fashion elaborato da McKinsey e dalla rivista “The Business of Fashion”, ad essere attente alla questione della sostenibilità. Secondo la ricerca il 31% dei consumatori nati dopo il 1996, la cosiddetta generazione Z, ha dichiarato di essere disposto a pagare di più per acquistare prodotti sostenibili. Questi consumatori del domani, infatti, hanno già dimostrato la loro attenzione nei confronti dei cambiamenti climatici con le manifestazioni dei Friday for Future e il movimento Extinction Rebellion.
Francesco Giordano, Co-Ceo Commercial Banking Western Europe di UniCredit, ha dichiarato che siamo di fronte a una vera e propria “onda verde” che ha modificato i modelli di consumo degli italiani, sempre più attenti alla sostenibilità ambientale, etica e sociale: “Questo trend si è rafforzato durante la pandemia: il 27% degli italiani ha infatti aumentato gli acquisti di prodotti sostenibili/eco-friendly ed è cresciuta l’attenzione delle istituzioni nazionali e globali”.
E il calzaturiero?
Anche il settore della calzatura si sta muovendo verso la ricerca di soluzioni ecocompatibili. Molte aziende della filiera si stanno muovendo in una direzione più ecologica che prenda in considerazione energie rinnovabili e materiali riciclati e riciclabili. Allo stesso tempo la digitalizzazione è diventata il motore di nuove strategie imprenditoriali.
Secondo il report del 2021 di World Footwear, la pandemia ha costretto le aziende del settore calzaturiero a reinventare le loro pratiche commerciali. Il 52% degli intervistati pensa che la sostenibilità sia molto importante, così come gli strumenti digitali. La maggioranza afferma che social media, siti web aziendali, pubblicità online e marketing digitale saranno al primo posto per nuovi investimenti, in quanto i canali digitali sono considerati sempre più importanti a scapito dei negozi fisici tradizionali.