Negli ultimi anni l'utilizzo delle bioplastiche è cresciuto, così come la richiesta di prodotti eco-compatibili da parte dei consumatori. Scopriamo insieme che cosa sono e quali sono i nuovi biopolimeri.

Non bioplastica, ma bioplastiche: una definizione

Secondo la definizione data da European Bioplastics, con il termine bioplastiche (BP) si intende un tipo di plastica che può essere biodegradabile, a base biologica (bio-based) o possedere entrambe le caratteristiche. In questa descrizione è possibile identificare una grande famiglia di polimeri che possono essere classificati in varie tipologie.

Più precisamente le bioplastiche:

  • possono derivare (parzialmente o interamente) da biomasse e non essere biodegradabili (per esempio: bio-PE, bio-PP, bio-PET);
  • possono derivare (parzialmente o interamente) da biomasse ed essere biodegradabili (per esempio: PLA, PHA, PHB, plastiche a base di amido);
  • possono derivare interamente da materie prime non rinnovabili ed essere biodegradabili (per esempio: PBAT, PCL, PBS).

Le bioplastiche sono identificabili in base al loro processo di produzione e di riciclo, e generalmente questo termine è impiegato per definire due macro categorie di polimeri.

Le plastiche bio-based

Le plastiche bio-based raggruppano quei materiali i cui componenti provengono totalmente o in parte da materie prime rinnovabili e vegetali, ossia da biopolimeri creati da biomasse composte soprattutto da zuccheri (canna da zucchero), da amidi (mais, grano, patate dolci) o da cellulosa, oppure derivano da alghe, oli vegetali e altro. In questa categoria rientrano quei materiali che sono principalmente usati nell’imballaggio per alimenti e nelle fibre per il settore tessile.

A loro volta le plastiche bio-based si possono distinguere tra biopolimeri di sintesi – ad esempio il bio-politilene e l’acido polilattico (PLA)ricavati mediante polimerizzazione all’interno di impianti chimici a partire da monomeri ricavati da fonti rinnovabili; e tra biopolimeri naturali, ovvero sintetizzati direttamente dagli organismi viventi (piante, animali, alghe, microorganismi) e poi estratti dall’uomo per lo sfruttamento industriale.

L’origine vegetale di questi materiali, però, non conferisce sempre la caratteristica di essere biodegradabile. Alcuni biopolimeri a base biologica (ad es. PVC, PE, PP e PET bio-based), infatti, non sono degradabili, mentre alcune bioplastiche provenienti da risorse fossili (ad es. PBAT, PBS, PCL) sono completamente biodegradabili. Per esempio, il polietilene verde a fine vita si comporta come quello derivato da fonte fossile e non presenta dunque le caratteristiche di biodegradabilità e di compostabilità. Questa tipologia di prodotti può essere qualificata come plastiche vegetali per evitare confusione con le bioplastiche.

Le plastiche biodegradabili

Le plastiche biodegradabili e compostabili sono plastiche che alla fine del ciclo di vita di un manufatto, cioè quando questo diventa un rifiuto, garantiscono la riciclabilità organica certificata nei diversi ambienti (es. compostaggio, digestione anaerobica, suolo), e possono essere degradate da microorganismi presenti nell’acqua, nel diossido di carbonio e nelle biomasse in presenza di condizioni specifiche. La proprietà di essere biodegradabile non dipende perciò dalla fonte di produzione della plastica.

Le plastiche biodegradabili possono impiegate in molti modi. Possono essere schiumate per creare materiali di imballaggio, estruse e stampate a iniezione in macchinari convenzionali modificati. Possono essere usati vari tipi di riempitori come farina di legno, calce, argilla o scarti della carta, che possono essere colorati e usati in differenti granulazioni per modificare l’aspetto esterno del materiale. Possono essere co-iniettate con altre materie plastiche come LDPE, PP e HDPE. Il processo di co-iniezione deposita uno strato sottile di materiale plastico al di sopra della plastica biodegradabile, creando un articolo completamente biodegradabile più economico dei materiali plastici tradizionali, impermeabile e colorato, che somiglia ai materiali plastici convenzionali.

Settori di applicazione

Nati soprattutto allo scopo di ridimensionare l’impatto ambientale di prodotti in plastica nel packaging come sacchetti e involucri, i biopolimeri hanno ampie possibilità di utilizzo in tutti i comparti industriali, non fosse per i costi produttivi che superano quelli delle plastiche derivate dal petrolio.

 

I principali settori di applicazione sono quelli riconducibili alla raccolta differenziata della frazione organica e degli sfalci erbosi (sacchi e sacchetti per l’umido), all’imballaggio e al consumo di articoli monouso per alimenti (piatti, bicchieri, posate, catering), al trasporto di merci (buste per la spesa, sacchi igienici per primo imballo alimentare, bottiglie, flaconi), all’agricoltura (film pacciamanti, vasetti). Inoltre le bioplastiche sono utilizzate per una serie di applicazioni nel settore calzaturiero, automobilistico, delle fibre e dei tessuti non tessuti.

Il mercato delle bioplastiche

Attualmente nel mondo si consumano all’incirca 359 milioni di tonnellate l’anno di prodotti plastici tradizionali, senza considerare le fibre sintetiche (fonte PlasticsEurope). Le bioplastiche rappresentano però ancora una percentuale minima della produzione annuale. La capacità produttiva mondiale di bioplastiche è stata di 2,11 milioni di tonnellate nel 2019 con un incremento approssimativo a 2,43 milioni di tonnellate nel 2024 (fonte European Bioplastics).

Tuttavia la loro domanda sta crescendo anche grazie al successo della campagna mondiale di sensibilizzazione verso gli effetti del cambiamento climatico che sta accelerando il cambio di paradigma nel mercato delle plastiche. Rispetto ai materiali tradizionali, infatti, l’impatto ambientale delle bioplastiche è assai ridotto perché si abbatte la quantità di CO2 emessa nel processo di produzione. Inoltre la maggior parte di questa famiglia di plastiche è biodegradabile e necessita quindi di tempi ridotti per lo smaltimento. Per questa ragione, recentemente sono state messe in campo dai governi nazionali, dalle istituzioni internazionali e dall’industria della plastica nuove strategie per riciclare e per produrre materiali in maniera ecocompatibile. A fronte dei vantaggi ambientali citati, la produzione su larga scala di biplastiche derivate da materie vegetali pone anche il problema, oggetto di dibattito, di dover adibire a determinate coltivazioni enormi porzioni di terreno agricolo, che in questo modo verrebbero sottratto alle colture a scopo alimentare.

Insieme all’Asia, l’Europa rappresenta uno dei maggiori hub dell’industria delle bioplastiche e produce circa un quarto della produzione mondiale. L’Italia è uno dei capofila nella ricerca, nella sperimentazione e nella produzione di bioplastiche. Secondo i dati del 2019 forniti da Plastic Consult per Assobioplastiche, nel nostro paese il mercato delle bioplastiche è in piena espansione. Nel 2019 la filiera completa delle materie prime e dei manufatti compostabili raccoglieva 275 operatori e 2.645 addetti, produceva 100 mila tonnellate annue e fatturava 745 milioni di euro, con un incremento di oltre il 100% rispetto al 2012.

Bibliografia e sitografia

G. Locati, A. Fiocca, La “Plastica”. Conoscerla per apprezzarla, Pacini editore, Pisa 2016

 https://bioplasticsnews.com

 http://assobioplastiche.org

 https://www.plasticseurope.org/it